di Valter Vecellio
Il Governo ha appena approvato un nuovo decreto legge sul terremoto. Con i suoi soliti 140 caratteri, il presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncia: “L’avevamo promesso. Non vi lasceremo soli. E così faremo. Tutti insieme”. Si tratta di 53 articoli con i quali si vogliono fissare i capisaldi degli interventi necessari alla ricostruzione e al sostegno della ripresa economica delle zone colpite: si va dal risarcimento per gli edifici colpiti al prestito d’onore per il riavvio delle attività produttive; e poi: cassa integrazione in deroga per i lavoratori di imprese coinvolte nel sisma, rinvio di tasse per quanti documenteranno che a causa del terremoto non le possono pagare.
Non si dubita delle buone intenzioni, e del buon lavoro che si vuole fare e si farà; ma ancora una volta siamo nel “dopo”. Ancora una volta siamo carenti nel “prima”.
Il “prima” è l’incapacità di fare tesoro delle catastrofi passate. È noto che l’Italia, con l’eccezione della Sardegna e della Valle d’Aosta, è considerata a grande pericolosità sismica. Tutti gli esperti sono concordi nel dire che in Italia generalmente si costruisce bene, con criteri antisismici, ma solo dopo un grave terremoto. Tutti gli esperti sono concordi nel dire che nel nostro paese ci sono faglie che si stanno come “lacerando”; e tuttavia, la prevenzione non c’è stata, e continua a non esserci. In sostanza, tutti gli esperti sono concordi nel dirci che gli edifici si costruiscono e si mettono in sicurezza solo dopo che una zona è stata colpita. Sempre tutti gli esperti sono concordi nel dirci che non si segue l’esempio di molti altri paesi: non solo il Giappone, la Nuova Zelanda o la California; ma anche quello che si fa in Turchia o in Cile.
Gli esperti, per esempio, sono concordi nel dirci che almeno la metà delle scuole e degli altri edifici pubblici sono stati costruiti senza requisiti edilizi in grado di resistere a un evento come quello accaduto ad Amatrice. Gli esperti sono concordi nel dirci che un progetto di questo respiro, almeno ventennale, di messa in sicurezza di tutto il territorio nazionale deve comprendere moltissimi aspetti: gli adeguamenti antisismici si devono programmare e realizzare considerando anche l’idrogeologia, le frane, il risparmio energetico. Interventi che prevedano anche la demolizione e la ricostruzione, salvaguardando l’arte e la grande architettura. Inoltre, si dovrebbe rendere obbligatoria una riqualificazione urbana. Può sembrare una spesa, ma nel medio-lungo periodo sarebbe un investimento, oltre che rilanciare l’occupazione, l’economia. Proposte di cui da anni, inascoltato, è alfiere un grande urbanista come Aldo Loris Rossi; e che oggi, finalmente, anche qualcun altro comincia a fare.
Per esempio, Enzo Boschi ci ricorda che una percentuale molto consistente del nostro grande debito pubblico è ascrivibile ai disastri naturali, soprattutto terremoti e alluvioni. Secondo il Consorzio Universitario per l’Ingegneria nelle Assicurazioni presso il Politecnico di Milano, le sole alluvioni comportano costi annui pari allo 0,2 per cento del PIL. Non proprio bazzecole, insomma.
È un discorso che varrà la pena di riprendere.